lunedì 5 ottobre 2009

Una speranza antifertilità per le donne colpite dal cancro

Una speranza antifertilità per le donne colpite dal cancro: La scoperta a Tor Vergata

Una speranza antifertilità per le donne colpite dal cancro: La scoperta a Tor Vergata

Porta la firma di due ricercatori italiani la nuova scoperta medica pubblicata questa settimana sulla rivista Nature: la Dr Stefania Gonfloni e il Prof. Gianni Cesareni dell'Università di Roma Tor Vergata hanno individuato un modo per proteggere la fertilità delle donne sottoposte a chemioterapia.

Radio e chemioterapia - i trattamenti più comuni per sconfiggere il cancro - fanno uso di agenti fisici o chimici che provocano lesioni al DNA e la successiva morte o "suicidio" delle cellule danneggiate. Sono dunque trattamenti aggressivi che possono colpire non solo le cellule cancerogene ma anche quelle di organi sani causando effetti indesiderati. E nel caso delle donne, la perdita di fertilità è sicuramente l'effetto collaterale permanente e quello che ha il maggior impatto sulla loro qualità della vita, malgrado riescano a guarire dal cancro.

La novità dello studio dei ricercatori del Dipartimento di Biologia di Tor Vergata sta nell'aver individuato una tecnica in grado di evitare il suicido della cellula ovocita danneggiata.
La fertilità nelle donne dipende infatti dal numero di cellule-uovo "ovociti" presenti nell'ovaio al momento della nascita, cellule molto sensibili alle lesioni o rotture del DNA, ecco perchè sono particolarmente colpite durante i trattamenti chemioterapici.

I ricercatori hanno ora identificato nel gene c-Abl un gene "modificatore" del gene "sentinella" TAp63. Quando si verificano delle lesioni del DNA, questi geni innescano a loro volta l'attivazione del prodotto proteico del gene c-Abl che come risposta trasforma rapidamente la proteina TAp63 da "sentinella" a potente "kamikaze" in grado di portare la cellula "ovocita" al suicidio.

Nei laboratori romani di Biologia hanno ora dimostrato che, durante un trattamento chemoterapico, l'utilizzo dell'inibitore di c-Abl ha permesso di proteggere la cellula ovocita dalla morte e di conseguenza di prolungare la fertilità nelle topoline, che hanno generato una progenie apparentemente normale.

Fino a questo momento, l'unica possibilità per le giovani donne a rischio di perdere la fertilità in seguito a terapie anticancro è costituita dal congelamento degli ovociti, da poter poi utilizzare per la fecondazione in vitro. Una metodologia che può però non essere appropriata per alcune pazienti per motivi legati all'età, o al tipo di cancro.

La scoperta dei ricercatori romani apre la strada ad una valida alternativa che getta una speranza per le bambine e le donne che sono costrette ad affrontare trattamenti chemioterapici. Il passo successivo sarà ora testare l'effetto protettivo dell'inibitore di c-Abl dai topi all'uomo.

Lo studio, nato dalla collaborazione dei gruppi di ricerca del Dipartimento di Biologia e della Facoltà di Medicina dell'Ateneo romano di "Tor Vergata", è stato finanziato dall'AIRC (Associazione Italiana Ricerca sul Cancro).

Online editing di Federica Cocco
Post by www.Kriagen.it

Nessun commento:

Posta un commento